LA LUNA PRECIPITA
Racconto inedito di Virginio Bianchi
Presentato alla prima edizione del “Premio Letterario Massarosa” nel 1947 con il motto: Barbanera.
Classificato al terzo posto in graduatoria.
A Massarosa, caro paesano, il cielo s’affaccia al balcone degli olivi.
È un balcone d’argento, smeraldo, grigio e bruno cangiante.
Bella donna distesa sull’erba, Massarosa, con i seni turgidi al sole, ha i piedi nell’acqua dolce del padule, il pube sulla via Sarzanese, il capo nel folto degli olivi e dei castagni.
A notte, una luna borghesuccia si destreggia di cirro in cirro, giocando a rimpiattino con miriadi di stelle.
Non è la luna partenopea di don Salvatore, pizzicata dal mandolino, caro Ciccio; né quella del Gianicolo o del Canal Grande; nemmeno è la civetta del Lago di Como, specchiantesi a perpendicolo sul terso delle acque.
Da buona provinciale pettegola, la nostra ti saluta, Ciccio, seduto al pretenzioso Caffè delle Lucciole, con un sorrisetto sfatto, da civetta consumata, ché tu pensi alle gallozze dell’uovo al tegame.
Né ti annoierai, paesano mio, se la grande concubina è ciarliera… ora che ti mostra finestre spente, altre con lume; e Paolo e Virginia sposi novelli, freschi freschi, a quella finestra d’orologio a cuculo.
Non t’invischiare: la luna cola dal suo grasso, sul paesaggio sottostante, tagliato con avvallamenti e collinette da Presepio, la melassa pericolosa per le ali del poeta nottambulo.
Né ti dare all’insidia di questa luna astratta, carezzevole con il vento notturno d’agosto, tutto fremiti metallici e profumato d’oleandro e di tiglio!
Tu, divoratore di sorbetti, puoi già gustarne da Baroni “Tartaglia”.
Non sarà il gelato di Donna Concettina in Galleria, ma ti assicuro ch’è di latte e d’uova proprio di gallina.
Sarai disturbato dalle zanzare; ma tu pensi al DDT americano ed alle pinzate sulle gambe sode di Virginia.
Virginia è presa nel gioco delle sculacciate di Paolo, nel risucchio dei baci.
Non ci pensare! Tutto è fatto con discrezione e silenzio, ché puoi sentire il TIC-TAC della sveglietta sul canterano, regalo di nonna Teresa agli sposi.
Virginia ha fianchi possenti e cosce leggermente lunate.
Le nari ha larghe e frementi, il collo tornito, il labbro coperto di peluria sfumata.
Come tutte le donne di qua, io credo che anche Virginia usi indumenti intimi in forte traliccio.
Non ti agitare, Ciccio! Ché l’odore di spigo, di fieno, lo senti a distanza.
Le nostre donne odorano cosí!
Non sospettare l’intrigo d’una storiella romanzata, per il sollazzo delle fantesche o delle falene, delle furbe perpetue, delle scaltre mondariso o gommaiole emancipate dell’Apice.
Non so raccontare certe storie.
Mio malgrado, sono preso dalla luna. Cavalco le nuvole per starle vicino.
Da buon lunatico, ho allungato le mani per afferrare le stelle che si burlano di me, poi mi sono sommerso in questo pallore di latte.
Sono preso dalla luna, caro mio!
Le mie orecchie sono di burro, ho occhi di pecorino e naso di cagliata.
Cosa posso dirti di sposi novelli alla finestra?
Loro sognano, nella cornice di pietra scura, tutta una notte o piú notti, che la finestra vola nello spazio e mai si arresta.
La luna m’assorbe. Il suo colore è d’ambra.
Simpaticissima, gelida, beffarda; in barba a tutti i telescopi puntati su di essa, curiosa, intrigante, fruga pagliai e finestre, angoli d’ombra, orti e giardini.
Se ti vede alla finestra con una donna fra le braccia...!
Hai mai provato? Prova.
Non è proprio necessario che tu l’abbia fra le braccia; puoi averla anche tra i piedi o sullo stomaco.
Ma supponiamo che stretta l’hai fra le braccia.
Ammettiamolo! Affacciati ad una qualsiasi finestra!
Ecco, qualsiasi, no. Non sarai tanto cretino, scusa, da affacciarti ad una finestra opposta alla luna, cioè con la schiena alla luna.
La finestra sarà nella luce di latte; e tu, non stincare troppo la bella, che spiacciono le donne con lo stinco fasciato come cavalle da ippodromo!
Se hai guizzi d’anguilla di punta, se i capelli le odorano di fieno, non nitrire, stallone morello!
Guarda l’astro.
Non divagare, non distrarti, se Virginia pensa alla Macedonia!... Se nelle orecchie ti mette il vento del deserto con la bocca calda!
Non badare nemmeno all’incipiente malessere o benessere, o non sai cosa sia, che ti fa caldo anche se la notte non è calda, ti fiacca la schiena e le rotule pizzicandoti tutto.
Fermo con quelle manacce viziose!… Non frugare fra le scapole una schiena calda come l’uovo appena sfornato dalla gallina!
Neanche devi pensare a Virginia, che bella è certamente nel pallore lunare.
Un’onda di capelli odora di prato maturo?
Tu sarai un pilastro di macigno.
Guarda con occhio da pittore, anche se non lo sei: occhi socchiusi, ché il dettaglio non interessa, ma solo la massa di paralume infuocato.
Socchiudili, chiudili quasi e, da quel poco spiraglio, vedrai il sorriso scanzonato della luna, che una randa magistrale segna sul perla profondo.
Magia? È cosí ; la luna sorride.
Non stupire. La luna è surreale; ha i capelli tirati sulla cervice, il vellutino sul collo floscio e pletorico, i solitari alle orecchie minuscole, gli occhi con le zampe di gallina, il pingue corpo inguainato di lustrini e di stelle.
La grande ruffiana ti guarda e t’invita:
“Vuole, Signorino?” - (In un soffio) : “ Pelleria, 6 / 9 - Padovane, livornesi, catanesi, viareggine...”
Tu non vuoi; sei onesto, in fondo, come tutti i Cicci di Margellina e di Capodimonte.
Ami la tua donna temprata d’americano, che ti freme vicino con sbuffi di Vesuvio.
Adori questa donna ch’è pazza di te e pronta a qualsiasi follia.
Una cavalcata di Valchirie attraversa la luna e poca ombra ti smarrisce, Ciccio o Pallino!…
Perché arrotondi la erre con la lingua grossa?
Non le parlare troppo difficile, con le sdolcinature alla moda; ti vai impasticciando, ragazzo!
La lingua dev’essere forbita come una lama.
Non mettere il cuscino sulla finestra. Il cuscino è morbido.
Gli spigoli del davanzale nudo, meglio modellano le acerbità dei seni.
Sono piú belli, questi, poggiati sul piano geometrico.
Sul morbido, sull’elastico, possono assomigliare a limoni da esportazione fra i truciolini; o a piccioni in cova.
I seni di Virginia, sono sodi.
Non venire in tentazione, con le tue solite manacce, disturbando i piccioni !
I piccioni viaggiatori volano verso la luna. Cosa fai, Pallino?…
Vola, vola anche tu… con qualsiasi mezzo.
Virginia?... Lasciala alla finestra... Ché sospiri il tuo ritorno, per piú notti!
Ciccio, Paolino o Pallino, voli come un personaggio delle “Mille e una notte” sul magico tappeto.
Ti vedo. Non ti sospettavo cosí casalingo.
Appartieni al secolo delle molle e del Water-closed.
Viaggi in vagone letto.
Comunque viaggi verso l’astro, che i fiorentini dicono d’argento, come l’Arno. Che barba!… E non ti curi di madonne al verone.
Tu fai il viaggiatore con meta prefissa, senza fermate intermedie, con l’ostinazione dell’ago che s’incunea nella tela.
La luna si fa piú grande, ciclopica; ti assorbe nell’orbita come un moscerino.
Ti spappola e sorride.
Continua a sorridere, la vecchia ruffiana; ché l’adipe del ventre le sobbalza.
“Vuole, Signorino?…”
Ma sí che vuoi!
Come puoi resistere, se l’offerta è allettante e se tutta è roba non contaminata da un esercito di negri?
Dice la luna: “È roba d’anteguerra.”
D’altra parte, il tuo volo è già lungo, a quanto pare!
Troppo voli; e dimentico sei della finestra modellatrice di seni.
Non ti rendi conto, pivello, ormai, che stare appoggiati per piú notti ad un davanzale, può stancare anche una donna onesta come Virginia:
Credi a me; la donna ha tutte le ragioni per stancarsi.
Ti convincerai, Pallino, che ci sarà un reciproco diritto di confortevole azione vendicativa, con l’impastoiarti nell’offerta lunatica e Virginia che scende nell’orto!
Virginia, credi a me, Pallino, come può attendere per secoli un marito volante?
Essa è piú che certamente indaffarata, ora ch’è arrivata la “Novantacinquesima Divisione Bisonte”, ad incassare salami d’oltre mare, cioccolato, brodi condensati e sigarette.
Il paesaggio lunare, col canto del grillo, ha stancato Virginia.
Piú confortevole è il cassettone, colmo di cartocci e di scatolette.
Quest’asino di negro ha spalle quadrate come una basilica!
Paolino o Pallino… tu non scendevi oltre le scapole, ma Jolly !…
La via Sarzanese è sconvolta dal passaggio delle artiglierie.
La “bella donna” freme con i piedi nel fango e la testa fra gli olivi.
Il mare, oltre la palude, dice il suo malcontento d’acque sconvolte.
L’asino nero raglia e scalcia forsennato nella notte afosa, complici le stelle.
La ruffiana ha l’occhio cisposo e smorto.
“Vuole, Signorino?…” - “Non fare il timido, biondino… vuoi?”
“Bel morino… pezzo di ciuco possente… vuoi?”
Ma sí che vuole!… All right… Vuole… vuole… vuole!
Vuole… finché Pallino vola come uno stupido sul magico tappeto e Virginia si dissolve.
Voglio anch’io; vuoi anche tu… Ciccio, Paolo, Pallino?
Vogliamo tutti; vogliamo!
La luna lo vuole; afflosciandosi nella guaina di stelle, rotolando nello smeraldo del mare.
Il vento d’agosto mormora nel riso, quasi maturo; fino agli olivi d’argento, alle girandole della Sagra di San Rocco, in uno scoppio di fuochi e mortaretti che sfidano le stelle.
Una voce che persiste… “Vuole anche Lei, Signor Manilunghe?”
“Ma sí, che voglio!!
Noi tutti vogliamo. Perché non dovremmo volere?”
Virginio Bianchi
La commissione giudicatrice del Premio, presieduta da Carlo Pellegrini e composta da Luigi Serravalli, Siro Angeli, Giuliana Menicagli e Vasco Giannini, cosí giudicò il racconto:
“Valendosi di una tecnica che ricorda i modi del surrealismo, riesce a creare un’atmosfera di sogno nella quale piccoli eventi della vita paesana, alternati a riferimenti ed allusioni a piú vaste vicende, sono innalzati non di rado alla sfera di poesia”.