Virginio Bianchi secondo LUCIA TOESCA
(Dalla pubblicazione “Critica d’arte oggi” - 1971)
...tra l’impressionismo che può parere oggettivo (ma non lo è mai in modo determinante) e l’espressionismo che mette a tu per tu oggetto e soggetto (ma che è pur sempre sovrana affermazione dell’io) l’Arte di Virginio Bianchi ha una sua ardua collocazione alle soglie del tempo che stiamo tutt’ora vivendo.
Nei due decenni che vanno dal 1950 al 1970, la pennellata si fa costantemente più distesa, più sintetica, più costruttiva; s’intride di luce ricavandone atmosfere tanto più intime e segrete…
I temi sono in funzione di un desiderio di solitudine in cui avanza, con l’insidiosa malattia, il pensiero della morte.
“Il canale”, “La palude”, “Il Rietto”, paesaggi che rabbrividiscono nell’ora più cupa e deserta, silenzi che preludono la tragica sinfonia di “Aria di temporale”.
Splendide e melanconiche alcune nature morte, come quella dove il coniglio ancora palpitante è rudemente gettato (non posato) sulla carta paglierina, i cui piani obliqui creano opposte situazioni di luce e d’ombra, tutte riportate a quell’unico commovente splendore della piccola vittima, del suo morbido pelame setoso.
Interessante è l’evoluzione stilistica anche nei fiori.
Nei “Crisantemi” la composizione è libera e viva, come se quella cascata di minutissimi petali traesse ancora nutrimento dalla terra; nei “Gigli” la luce si placa in una mite trasparenza opalina e nella immaginosa monocromia dei “Girasoli” l’oro lascia trasparire la tela con preziose dissolvenze materiche.
Fanno spicco, tra l’altro, due autoritratti.
Il più giovanile è stranamente quello che appesantisce, forse d’una cupa rivelazione, la fisionomia dell’artista.
Sotto l’ala del cappello, i tratti si costruiscono in una efficacissima “scherma tonale”.
Ogni colpo di pennello, affilato nel controluce, accentua il gioco espressivo dei muscoli facciali.
La febbre dello sguardo si specchia nel brillìo gelido di quelle lenti, che una dolorosa piega incastra tra ciglio e ciglio.
È il documento impressionante di uno stato d’animo che, nel ritratto successivo, sembra visibilmente superato con estrema dignità ma senza rassegnazione…
Da tutto ciò è chiaro che Virginio Bianchi non è artista del passato e la sua opera doveva essere riscoperta, tratta dall’antitesi di modestia e di orgoglio, di vitalità e di angoscia per cui, vivente l’autore, rimase a lungo isolata nell'entroterra di Versilia.
Lucia Toesca