Virginio Bianchi e i suoi disegni - di MARCO MAFFEI
Da "SINOPIA" n.34, Giugno 1999
Parlare di Virginio Bianchi, per certa critica, è sottolinearne la figura appartata, inattuale, per collocarlo in una sorta di limbo in cui il giudizio è sospeso e l’imbarazzo palese.
In un manoscritto del '58, egli scrive: “... Lontano da ogni conventicola, lontano dalle prediche, dai circoli più o meno culturali, dalle chiesuole, ho sentito il bisogno di isolarmi e di cantare a piena voce a modo mio, a rischio mio”, per terminare poi con un grido liberatorio: “... Sono libero, finalmente.”
È evidente che negli anni '50, la sua pittura, intrisa di valori che si rifanno ad una tradizione pittorica che abbraccia '800 e primo '900 , con prevalenti accenti post-impressionisti, appare del tutto anacronistica.
Ma così facendo ha salvaguardato una genuinità e sincerità personali rare, unite ad una maestria nell’uso dei mezzi tecnici del dipingere.
Virginio Bianchi va valutato quale l’ultimo degli esponenti di quei “Pittori del lago”, di quella Boheme tutta versiliese che si raccolse attorno a Giacomo Puccini, quale l’erede più degno di un Fanelli, di un Pagni e di altri considerevoli artisti.
La strada maestra che con più decisione percorre, parte da Cézanne e attraversa le esperienze del ‘900, anche quelle delle avanguardie, di cui troviamo tracce nella sua opera.
I disegni testimoniano un’ansia di tradurre la realtà attraverso una registrazione stenografata, rapida, pulsante, ma tuttavia mediata dallo stile e dalla tecnica, che si traduce in un segno-ombra necessario a definire le vibrazioni di un paesaggio, una figura, un ritratto.
Sbaglieremmo se considerassimo tutto ciò una mera registrazione epidermica della realtà; in realtà è una tecnica illusionistica per far apparire il vero, la scoperta di un codice per tradurlo in messaggio.
Ciò è attestato dalle numerose rielaborazioni condotte sugli appunti iniziali che venivano sistematicamente depurati e corretti operando quindi una sorta di raffreddamento dell’impressione registrata.
Mi sembra importante sottolineare la modernità di questo processo creativo, non distante da quanto operava Seurat in campo pittorico, le cui immagini derivavano da una rigorosa applicazione tecnica dei processi scientifici che presiedono la visione.
In maniera più istintiva ciò avviene anche nei disegni del nostro autore, le cui immagini si formano grazie al simultaneo contrasto di addensamento e rarefazione: le due incognite di un’equazione svolta, il cui risultato è raggiunto ogni volta con sicurezza.
“... Ho messo in opera quel bagaglio che tenevo pigiato in soffitta per nasconderlo a coloro che vogliono che tutto sia conforme, che tutto proceda sui soliti bianari, controllati dai soliti guardalinee ...”
Bianchi ha percorso in piena libertà la sua strada e, come in un verso della sua poesia “Il poeta sepolto”, ha esaudito il desiderio estremo di vedere la propria opera gettata “... sull’arco dei venti / come un polline che si disperda ...”
Marco Maffei