ANIMA NERA
Febbraio.
Ancora bioccoli di neve
sulla pergola,
ma pochi: sui pali neri,
sui sarmenti.
Il muro dell’orto
ha la muffa bruna,
la patina verde,
a toppe.
Nei solchi bruni,
il poco tenero verde
di fili stenti,
le foglie marce,
nere, arricciate,
hanno concluso la danza
ai piedi del muro.
La gatta rossa salta
da un palo a un sarmento -
agile com’è -
la coda ritta.
Miagola; un lamento.
Lei sa il perché.
Lontano, l’ululato
del cane nero.
Lo so ch’è nero.
Lo conosco.
È un solitario.
Vive in solitudine,
a catena, nel canile.
È un cane domestico,
m’assomiglia.
Ho il suo colore nell’anima.
Ho l’anima nera.
La catena alla strozza.
Vivo nel canile.
Vorrei abbaiare
a questi giorni desolati,
punteggiati di neve…
spaventare la gatta
e soffocare il suo lamento.
Vorrei concertare
col cane nero
una canea assordante
che spaccasse
il piombo delle nubi…
Ma, forse
non so il perché.
Tutto è latente,
tutto è precluso -
è certo -
all’anima nera.
Virginio Bianchi
(dopo il 1950)