ESTATE
Frinisce la cicala nell’orto,
sulla pergola bruna,
sull’arsa limonaia -
piú d’una, piú d’una -
un’orchestra - un’orchestra ossessiva -
un crescendo
nell’afa grigia degli aridi verdi,
nella cenere della terra,
sui tetti polverosi,
sulla palma del giardino.
La strada maestra a cento metri
rugge di scoppi, di motori:
un rullio
ora vicino, ora lontano;
un suono discontinuo,
un brontolio che s’acqueta
e si ridesta
con tinnii di ferraglie,
con strappi di lamiere,
con fruscii.
Il piombo del cielo è grave:
una cappa sulla piatta campagna
tagliata a mezzo dal binario
e dai ponti del treno nero.
È l’estate.
La sonnolenza, il caldo,
la pigrizia.
La libellula sul davanzale
picchia il vetro polveroso.
Mi chiama, mi chiama!
Ha un suo linguaggio
fatto d’ali lucenti,
di sogni.
Coraggio!… - mi dice -
Fatti coraggio.
Cerca di vincere
il pigro giorno;
i giorni,
i giorni della pigrizia.
Poi…
Non lontano è l’autunno.
Virginio Bianchi
(dopo il 1950)